Nessuna legge fisica, fenomeno atmosferico o formula statistica porta il suo nome, solo un austero strumento meccanico oggi relegato ai musei di storia della scienza. Eppure lui, Francesco Maria Denza dei padri barnabiti, due volte è padre. Padre per la Chiesa e Padre spirituale di tutta la meteorologia italiana. Giacché, se altri d’italica schiatta, quali un Torricelli, furono più noti nel mondo, il Denza è un vero animo dell’ottocento risorgimentale,
tutto impegnato com’è a diffondere l’amore per la scienza dell’atmosfera in tutte le contrade di un Regno appena proclamato.
E’ tutto riassunto in quelle tante frasi così efficaci, pervase di sincerità e immediatezza, forse un poco retoriche agli occhi del presente, in realtà appena piacevolmente stagionate nella forma da cent’anni d’evoluzione dello stile lessicale, ma vere e taglienti come non mai nella sostanza. Il 26 aprile 1891, nella Sala Baronale del Castello Medievale di Torino, in occasione del 25° anniversario della Società Meteorologica Italiana così lo studioso traeva le somme di una vita di lavoro: “L’Italia fu quella che diede alla meteorologia i primi e fondamentali istrumenti e che nei primi albori della scienza sperimentale additò le norme sicure e razionali per studiare l’atmosfera. (…) La nostra istituzione riuscì non solo a stabilire le prime e più alte vedette di meteorologia sulle elevate regioni delle Alpi ma fu pur essa che promosse ed accelerò il movimento meteorologico in altre contrade d’Italia ed in modo specialissimo in quelle del mezzodì, per la meteorologia affatto deserte”.
La sua vita corre dietro all’estenuante e pesantissimo onere che è l’acquisizione di quei dati i quali, egli ne è conscio, serviranno a studiosi di un tempo futuro per trarne leggi e precetti: “noi prepareremo pei nostri posteri un materiale ben ordinato e prezioso per istabilire con ottimo fondamento il non facile edifizio della climatologia delle nostre regioni, al quale intendimento sono rivolti i nostri sforzi e tutti i nostri studi.” .